giovedì 19 febbraio 2009

Bici fissa







Cortile del Maglio, Piero della Francesca, 8 Gallery, Sebastopoli, San Massimo. Non si tratta solo di punti nevralgici della città di Torino, ma di alcuni dei check point dell’Alleycat tenutasi di recente. 38 km di competizione ciclistica urbana, 53 partecipanti tra i 18 ai 40 anni, sei destinazioni, alcune in ordine libero altre in ordine assegnato che sotto l’imperativo “ruota fissa” rappresentano il contesto della competizione ispirata alla professione dei messengers americani.
Conta la preparazione fisica ma soprattutto la conoscenza della città, la velocità, la capacità di individuare prontamente percorsi ciclistici alternativi al traffico automobilistico.
Milano, Bologna, Vicenza si sono già lasciate contagiare dal movimento della “fissa”, la bicicletta senza freni, che fa della ruota fissa la propria filosofia: allegerirsi del superfluo per diventare scattanti nel contesto urbano. Scattanti ma soprattutto sofisticate, perché dietro la ricerca estrema della semplicità meccanica si cela una ricerca e un’attenzione ai dettagli maniacale. Dai telai da pista ricercati attorno allo storico Vigorelli milanese, tempio della velocità a due ruote, ai commuters (vecchie bici da strada assemblate con materiali da pista), le bici fisse sono autoprodotte o costruite da poche ciclofficine urbane rese famose dai numerosi bloggers interessati (www.milanofixed.com, http://berlinfixed.blogspot.com/, http://www.movimentofisso.it/, http://bicifissa.blogspot.com/) che alimentano un mercato di pezzi di ricambio per pochi intenditori.
Garage e officine ambulanti, spesso senza scopo di lucro, si occupano di sostenere la folta utenza dei bikers in città ma rappresentano soprattutto luoghi di sperimentazione, conoscenza, formazione e baratto dove non è raro trovare anziani ciclisti dare consigli meccanici a giovani ventenni neofiti.
I partecipanti alle competizioni urbane sono raddoppiati in Italia negli ultimi 6 mesi, soprattutto nel nord Italia, capitanate da Milano che ha recentemente superato le 100 persone nell’ultima Alleycat.
Che rappresenti il seme di un nuovo modello di sviluppo alternativo all’utilizzo dell’auto in città è difficile da credere. Sembra piuttosto rappresentare un’aggregazione spontanea di appassionati capaci di interpretare i confini urbani come un enorme parco giochi nel quale misurare le distanze a calorie e non a carburante beffandosi di quanti non hanno ancora varcato la soglia della sostenibilità a due ruote.
Si perché a differenza di critical mass, spesso strumentalizzata anche a livello politico, la comunità della “fissa” prima che dell’ambiente è appassionata dell’oggetto. Il focus è la bicicletta nelle sue forme più pure. La dimensione è quella del gioco, di luoghi urbani che perdono momentaneamente la loro connotazione formale e si trasformano in piattaforme di prova dove il traffico automobilistico diventa parte integrante del contesto urbano, accettato piuttosto che contestato, da sfidare sul campo piuttosto che da sconfiggere politicamente.

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