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venerdì 7 settembre 2012

Mont Ventoux: l'ascesa


 











Il Mont ventoux è un cono, che si allarga al centro della Provenza, con la cima gialla, avvolto dal Mistral. Attorno alla sua base a cerchio si raccolgono piccoli centri abitati che a quanto pare hanno la funzione di accogliere gli “scalatori a pedali”. Tutto attorno il più tipico ambiente provenzale, colorato e festoso, odoroso di lavanda al punto tale che ogni cosa sembra esserne impregnata, dai muri delle case, al vento, alle federe dei cuscini di ogni letto.
La sveglia suona presto da quelle parti, colazione energetica a base di biscotti e miele. Colori tecno-fluo avvolgono ogni persona seduta ai tavoli dei bar all'aperto. Qualcuno osa addirittura indossare la maglia gialla: sfida doppia di fronte a quel monte pietroso; peccato di hybris per chi il Ventoux non osa nemmeno nominarlo, prima di poterselo permettere.

















 
Le famiglie, i gruppi di amici sono organizzatissimi, sembra che la tappa sia stata pianificata da tempo, ognuno è consapevole del ruolo: qualcuno guiderà il furgone, altri porteranno le bottiglie d'acqua e integratori, altri ancora ne dovranno documentare l'ascesa con le più svariate tecnologie in dotazione, tutti faranno il tifo per il parente più prossimo, l'amico più stretto, il ciclista con i capelli più bianchi, o quello alle prime armi.


















E poi si parte, ognuno seguendo il proprio passo, ognuno rispettando la strategia pianificata, tutti consapevoli che arrivati lassù avranno per sempre qualcosa da raccontare. 












sabato 14 novembre 2009

sospensione

sospensione from P E P E on Vimeo.



"...è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare fra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati."

Da "le città invisibili" Italo Calvino

da "Le città invisibili", Italo Calvino

giovedì 11 dicembre 2008

strane storie #2



"Oro?"


Un uomo fermo di fianco a una vetrina.
Lo sguardo rivolto a terra, con la punta della scarpa sposta qualcosa.
Poi si inchina, raccoglie l’oggetto con due dita, lo porta sul palmo della mano sinistra, lo sfrega.
Si guarda intorno con lo sguardo incerto, incrocia il tuo, ti fa un cenno, alza la mano, ti invita a raggiungerlo.

Ha in mano un anello
“Oro?” - la o è un pò chiusa, ricorda un giostraio del luna park, di un indefinibile est.
“non so, è un po’ leggero, però c’è il marchio dei carati, non so, non me ne intendo”
Tenta di infilarselo, ha mani grosse, dita tozze, non entra nemmeno nel mignolo.
Ti guarda negli occhi, alza le spalle con aria grottesca e sconfitta, le labbra mimano una smorfia triste.
Senza darti il tempo di opporti lo infila al tuo anulare, spinge per fargli oltrepassare la nocca.
“Bello, amico, prendi tu”
“No dai, lasciamolo al bar qui di fronte, qualcuno l’avrà perso; passerà a chiedere”
“Tieni tu, fai quello che vuoi. Però io ho fame, dà qualcosa me per panino, coca-cola, qualcosa da buttare dentro pancia”
“senti, ho solo due monete”
“quello che vuoi amico, per mangiare, grazie, ciao”

Vai verso il bar per lasciare lì l’anello, ma non viene via, sforza, si blocca sulle grinze della pelle.
Torni indietro, preoccupato che il dito gonfi, alla ricerca di un pezzo di sapone.

Come un deja-vu: sul marciapiede opposto stessa scena, stesso uomo, stesso movimento del piede, stesso sguardo a cercare il prossimo;
incrocia il tuo.

Sfugge , alza il bavero, scompare.

mercoledì 3 dicembre 2008

terra e neve

La pioggia cade ogni anno sulle colline delle Langhe: a volte trova terra dura, spaccata, e riesce a insinuarsi soltanto nelle fessure; poi scorre a valle, a gonfiare i corsi d’acqua, acqua che torna all’acqua. Altre volte incontra terra morbida e l’incontro è più facile, dura di più. Ma l’acqua è fatta per scorrere, la gravità l’attira, deve sempre tornare alla pianura.

La grandine spacca, rompe i filari e stacca gli acini gonfi di blu, proprio nel tempo che precede la raccolta; la grandine è veleno.

Poi c’è la neve, da tempo quasi assente, rara, avara più che parsimoniosa.

E’ neve d’altri tempi quella scesa in questo finale di novembre, sulle langhe. E’ neve “manna”, le neve giusta al momento giusto. Più che mai “coltre”, manda in letargo la vigna proprio quando deve riposare.
La neve nutre le colline con lentezza; neve come spugna morbidamente strizzata dal respiro della terra: a ogni sospiro manto di neve e terra si incontrano, scambiandosi acqua, “pane” per la vite, vita per la terra.
Ora le vigne riposano, protette da quel mantello bianco, e dopo anni di indigestioni improvvise di acqua tornano ad alimentarsi con regolarità costante; l’acqua scende nella terra con misura, porta linfa ad ogni arteria, ritempra l’organismo.

A marzo si vedranno i risultati, il risveglio dal letargo porterà ancora primavera, la freschezza della neve tornerà nel verde delle prime foglie, e poi tutto ricomincerà: “potare” ,“legare”, “scarzolare”, ancora “legare”, “aspettare” che il sole faccia il suo corso, “pregare” le nuvole viola di lampi e grandine di stare lontane.

giovedì 29 maggio 2008

Strane storie #1

L’ULTIMA GOCCIA


Era proprio l’ultima, l’ultima goccia di un acquazzone che sembrava non finire più. Con un braccio ancora attaccato al bordo sembrava non volerne sapere di staccarsi, di cadere al suolo, di confondersi alla terra, mischiarsi al fango, tornare a essere umidità, ricominciare il giro. In fondo stava bene appesa a quella tettoia verde, da lì poteva osservare un bel pezzo di mondo, oppure filtrarlo ribaltato a chi avesse provato a guardarlo attraverso di lei. Eppure cadde, si staccò, richiamata da una forza più forte. Nel volo chiuse gli occhi, stirandosi come per frenare, per resistere all’inevitabile. La sua paura più grande era di finire nel fiume, di farlo diventare ancora più grosso, andandosi ad aggiungere a tutte le altre cadute prima. Proprio non ci stava a essere ricordata come l’ultima.... troppa responsabilità. I proverbi non le erano mai piaciuti ma, dovendo scegliere, avrebbe preferito essere ricordata come la goccia che scava la pietra, piuttosto che quella che fa traboccare il vaso!
Ma ormai era lì e doveva rassegnarsi. Se solo avesse aperto gli occhi avrebbe visto con stupore l’imbuto che la stava aspettando.


Un enorme tubo grigio, di cemento; come una ciminiera tozza, ma senza fumo; come una clessidra che scandisce il tempo di un gigante. Al suo ingresso percepì di essere il granello decisivo, quello che una volta caduto costringe la clessidra al ribaltamento, per ricominciare la conta. Era stata l’ultima ad entrare in quella strana cisterna, e fu la prima ad uscirne, a testa in giù. Ne ebbe un sospetto nel momento in cui vide alberi strani, che si increspavano al vento, sopra un cielo grigio di carta velina. Dovette rigirarsi su se stessa per capire che ne stava osservando il riflesso in un lago.


Il nuovo suolo era un mondo d’acqua, più bagnato che asciutto. Forse l’imbuto non era clessidra, ma rubinetto. Una valvola di scarico per il mondo di sopra, dall’altra parte, quello a testa in su, o in giù a seconda del tempo. Allora siamo tutti in un’enorme clessidra che al posto dei granelli di sabbia contiene gocce d’acqua, due vasi comunicanti in continua ricerca di equilibrio! Quando di là piove troppo, o fa troppo caldo e i ghiacci si sciolgono con prepotenza, e l’acqua non sa più dove andare, allora escono fuori dalla terra i grandi imbuti-rubinetto che raccolgono gli eccessi, per scaricarli, col movimento di una clessidra capovolta, nel mondo di qua.



Ecco perchè tutte quelle distese d’acqua, laghi e lagune, più acqua che terra. Qui ora c’è il sole e l’acqua proveniente dall’altro mondo fa crescere il riso, i prati e gli alberi appena interrati.



Una casa sembra sciogliersi nella nuova laguna, forse i suoi vecchi abitanti l’hanno abbandonata e lei non se la sentiva più di continuare a vivere nel silenzio, da sola, e allora ha scelto di dissolversi, di colorare l’acqua col rosso dei suoi mattoni.



Là in fondo altri due enormi rubinetti imbuto sono in attesa. Aspettano il troppo pieno d’acqua del mondo di qua, per assorbirne l’eccesso, per ristabilire l’equilibrio e far girare ancora una volta la clessidra.